Da alcuni anni capita di leggere sulle riviste specializzate articoli sulle origini del karate in Italia. Limitando il discorso al solo stile Shotokan, mentre si sa tutto di come sia nato e si sia sviluppato a Milano e nel Nord Italia, mi pare che poco, se non niente, sia stato detto circa le sue origini a Roma. Posso dire con un certo orgoglio che “io c'ero”, e, che io sappia, sono rimasto uno dei pochissimi della primissima ora che ancora praticano attivamente: ecco, quindi, la storia come io la ricordo.

 

Il Judokwai Roma

A Giugno o inizio Luglio dell’anno 1964 stavo preparando gli esami di licenza ginnasiale. A quel tempo praticavo con entusiasmo il Judo presso la mia scuola, dove insegnava il M° Pio Gaddi, allora 2° dan ed arbitro internazionale.

Presso il Judokwai Roma, il dojo del M° Gaddi, da qualche mese era stato istituito un corso di karate – il primo corso regolare mai tenuto nella capitale. Su invito dello stesso Gaddi m'iscrissi e cominciai così un percorso che sarebbe durato decenni... 

Al Judokwai si praticava uno stile Shotokan ibrido, attingendo a due fonti: il testo di Hidetaka Nishiyama “Karate: the art of empty hand fighting” e aggiornamenti tecnici tenuti da cinture nere provenienti da Firenze, dalla scuola di Wladimiro Malatesti, vero pioniere del karate in Italia. Va detto, per la precisione, che il gruppo di Malatesti praticava Shotokai e che quindi le differenze rispetto al testo di Nishiyama erano notevoli. Un po' per spirito d'indipendenza e un po' per istinto, noi “romani” propendevamo per il karate proposto da Nishiyama.

 

Non avevamo un vero maestro di karate. Pio Gaddi, al tempo cintura marrone 1° kyu di karate, conduceva gli allenamenti, assistito dal compianto e indimenticato Maurizio Di Chiara, anche lui cintura marrone e allievo dello stesso Gaddi nel judo. Due gli allenamenti settimanali, seguendo alla lettera il programma descritto nel testo di Nishiyama. 

Ripensandoci adesso, il karate che praticavamo era, sotto il profilo tecnico, molto approssimativo: nessun accenno ai principi fondamentali, il kime un concetto sconosciuto, venivano praticati solo i 5 kata Heian (con tentativi di bunkai faticosamente “creativi”), ecc. D’altra parte, eravamo davvero pionieri e l'entusiasmo era alle stelle! 

Ricordo che il primo gruppo di karateka del Judokwai – anni 1964/1965 - era composto da una ventina di allievi, tutti adulti, studenti universitari o che già lavoravano. Io ero il più giovane.

Per effettuare gli esami di passaggio di grado veniva al Judokwai da Firenze il Maestro Wladimiro Malatesti. Oggi purtroppo quasi dimenticato, Malatesti era stato veramente il pioniere del karate in Italia, avendolo appreso (o forse, più correttamente, avendone appreso i rudimenti) in Giappone, prima della guerra, mentre prestava servizio nella Regia Marina. Praticava il karate della scuola Shotokai (quella di Shigeru Egami) e, a partire dal 1955 aveva creato un solido gruppo di praticanti a Firenze, sua città di residenza, chiamando poi come istruttore il M° Tetsuji Murakami, che era, appunto, allievo del grande Egami. 

Mi capitò di sostenere con successo il mio primo passaggio di grado alla presenza del M. Malatesti, per il quale provavo un misto di curiosità e riverenza. Quando lo conobbi io, il Maestro era già anziano e visibilmente malandato. Non ho ricordi della sua tecnica. Ricordo però che a fine esame gli fu chiesto un commento sul nostro livello tecnico: questo fu, in perfetto fiorentino un laconico “c’è spirito”. Col senno di poi, probabilmente un modo per sorvolare diplomaticamente, anche se di spirito ce n’era veramente in abbondanza. 

Il cordone ombelicale con Firenze, più formale che reale, fu definitivamente reciso quando Pio Gaddi diventò 1° dan, mi pare nel tardo 1964 o ai primi del 1965. Poco dopo di lui ottenne il 1° dan Maurizio Di Chiara. 

 

La F I K

La FIK (Federazione Italiana Karate) era stata fondata da Wladimiro Malatesti nel 1955 ed aveva sede a Firenze. 

Non ricordo i dettagli, perché al momento non m’interessavano affatto, ma, ad un certo punto, mi pare intorno al 1966, la FIK venne “rifondata” e trasferita a Roma. L'Avv. Augusto Ceracchini, dirigente sportivo con una brillante carriera di judoka alle spalle, divenne il primo Presidente della FIK, nella quale confluì anche il gruppo Wadoryu del M° Augusto Basile. 

L'attività federale era tutta incentrata sull’attività agonistica, ma esclusivamente di kumite. A quel punto io ero cintura marrone 1° kyu ed ero regolarmente membro della squadra agonistica del Judokwai, che ottenne sempre dei buoni risultati.

 

Lo Shotokan si espande a Roma 

Verso la fine degli anni 60 il gruppo del Judokwai Roma comprendeva alcune cinture marroni, che vennero impiegate per far fronte alle richieste d'insegnamento che cominciavano a provenire da altre palestre di Roma.

 

Nel Maggio 1968, ormai 1° kyu, iniziai un corso di karate alla Borgo Prati, storica palestra romana con una grande tradizione nella lotta e nell’attrezzistica. 

Armato di una notevole dose di presunzione ma di molto entusiasmo, iniziai un corso di karate presso la sede secondaria di Via Tommaso Campanella, che era, come tipicamente erano le palestre di allora, ricavata in un appartamento seminterrato, piuttosto buio ed umido. Il dojo di karate era una stanza quadrata, di circa m. 6x6, con un tatami ricoperto di un telo ruvidissimo, su cui lasciavamo regolarmente buona parte della pelle delle piante dei nostri piedi! Iniziai con 4 o 5 allievi, principianti, che tanti rimasero fino alla fine del corso, nell'Estate 1968. Non proprio un successo eclatante!

 

Gli orizzonti si allargano

Per tutti gli anni 60 il karate a Roma soffriva di “bipolarismo”: il gruppo Shotokan, comprendente essenzialmente il Judokwai Roma, ed il gruppo Wadoryu, che si era espanso parecchio. Sicuramente uno dei motivi del crescente successo di questo bellissimo stile era la presenza a Roma di maestri giapponesi di valore, primo fra tutti Yutaka Toyama, che ne elevarono il livello tecnico in maniera notevolissima. 

Essenzialmente, noi dello Shotokan non avevamo una guida tecnica di alto livello. 

Personalmente, dopo quasi quattro anni di pratica all’insegna dell’entusiasmo e di una beata ignoranza della realtà, avevo cominciato a dubitare di me stesso, dell’insegnamento che ricevevo, dello stesso karate. Ogni tanto passava al Judokwai qualche karateka ospite, perlopiù straniero, il che ci apriva spiragli di luce ma provocava – almeno al sottoscritto – profonde crisi esistenziali. 

Conoscendo la lingua inglese, avevo la possibilità di attingere a fonti straniere, quali libri e riviste. Presso una delle edicole di Via Veneto trovai, per caso, un numero della rivista americana Black Belt, a quel tempo molto seria. Mi abbonai e, per anni, ogni nuovo numero veniva da me imparato, praticamente, a memoria. Fu la lettura di Black Belt a socchiudermi una finestra sulla realtà del karate oltre l'ambito ristretto locale. 

Un giorno, la rivista pubblicò un trafiletto in cui riferiva che la Japan Karate Association stava inviando alcuni suoi istruttori a divulgare il karate nel mondo. Il trafiletto era corredato da una fotografia di un gruppetto costituito da: Taiji Kase (destinato alla Francia), Hirokasu Kanazawa (destinato ad andare in Inghilterra), Keinosuke Enoeda (in partenza per il Sud Africa), Hiroshi Shirai, che veniva in Italia. Ricordo che, rivista alla mano, mi precipitai da Gaddi, sicuro che non avremmo potuto non sfruttare l’occasione che si presentava di avere contatti con uno dei migliori maestri del mondo. Tuttavia, per motivi che ho compreso anni dopo (ma che non ho mai accettato) e che non è il caso di ricordare in questa sede, l'ipotesi di contattare il M° Shirai venne respinta: il Judokwai Roma non aveva bisogno di giapponesi, magari tecnicamente bravissimi ma politicamente ingestibili! 

Passato lo sconcerto, mi fu evidente che, se avessi voluto fare il “salto di qualità” consistente nell'aderire alla scuola del M° Shirai, avrei dovuto fare da solo, assumendone le conseguenze anche “politiche”. E così ho fatto. 

Nel gruppo del Judokwai avevo un solo alleato: Maurizio Di Chiara, 1° dan e mio sempai. Maurizio, buon amico e sincero praticante, che sarebbe poi prematuramente scomparso, condivideva in buona sostanza le mie frustrazioni e aveva fondato lo Shiai Club – presso il centro sportivo dell’Istituto “Cristo Re” – dove aveva istituito due corsi di judo (bambini e adulti), affidati al sottoscritto, e un corso di karate, da lui tenuto. Quel corso di karate divenne il nostro laboratorio sperimentale e il trampolino per avvicinarci al M° Shirai. 

 

Lo Shotokan JKA a Roma

Nell'Agosto 1968 la svolta: conobbi per caso Luciano Parisi e Rodolfo Ottaggio, allora due fra gli allievi più validi e più vicini al M° Shirai. Da loro fui invitato a recarmi a Genova ai primi di Settembre, dove il M° Shirai avrebbe tenuto uno stage in preparazione del torneo internazionale di Los Angeles. A Genova fui presentato al Maestro: da allora sono passati quasi 40 anni…

Tornato a Roma m'iscrissi subito all'AIK (Associazione Italiana Karate), l'organizzazione del M° Shirai. Per qualche mese venne a Roma a tenere corsi di aggiornamento il M. Ottaggio e poi, finalmente, il 17 maggio 1970 fu tenuto il primo stage del M° Shirai a Roma, presso la palestra Cristo Re.

 

Il M° Yoshikasu Sumi a Roma

Comunque, nonostante le visite di Ottaggio, divenne presto evidente che, per progredire realmente e anche per sviluppare il karate Shotokan JKA a Roma, era necessario un istruttore di grossa caratura, che fosse stabilmente residente. 

Il nostro gruppo Shotokan comprendeva allora due palestre, presso gli Istituti “Cristo Re” e “S.Ivo”, dove io avevo aperto un piccolo corso. In tutto, forse 40 praticanti, un po’ pochi per sobbarcarsi il costo di un istruttore giapponese di rango. Comunque, un bel giorno Ottaggio ci comunicò che, dividendo i costi con il gruppo Shotokan di Napoli, facente capo al compianto M° Beppe Panada, judoka molto noto oltre che karateka, avremmo potuto disporre di un istruttore J.K.A. 3° dan, certo Yoshikasu Sumi. Era il 1969.

Sumi era un illustre sconosciuto per noi. Era l’uomo della J.K.A. in Austria, con sede a Graz, e seppure ben lontano dal M° Shirai per livello tecnico e per carisma, era pur sempre un 3° dan, che, nel 1968, significava molto. Comunque, era perfettamente in grado di consolidare le basi, ancora molto incerte, del nostro karate e metterci in condizione di migliorare.  

Poco dopo l'arrivo a del M° Sumi Maurizio Di Chiara decise di restare nei ranghi FIK con il suo Shiai Club e furono fondati i primi due dojo di Shotokan JKA a Roma: nel Luglio 1970 il Centro Studio Karate Kenshinkan e qualche mese più tardi il Centro Studio Karate Shotokan. 

Trascorsi all'incirca un paio d'anni, due gruppi si unirono al filone romano: quello del C.S.K.S. di Cisterna di Latina, fondato dal M° Stefano Spadoni, ivi trasferitosi dal Musokan Bologna, e quello della S.S. Jukaai, fondato dal M° Italo Frezzato, con varie palestre nel frusinate, proveniente dalla FIK. Di lì a poco cominciarono a uscire da questi tre rami principali numerose cinture nere che organizzarono corsi presso varie società sportive.

Al momento della storica fusione tra FIK e FESIKA nel 1979, nel Lazio si contavano una ventina di palestre affiliate alla FESIKA e che quindi praticavano il karate Shotokan JKA. Come è noto, nel 1989 un folto gruppo di praticanti abbandonò la FIK per seguire il M° Shirai e costituire la FIKTA: in maggioranza, il gruppo storico laziale seguì il Maestro.

P.W. Lloyd 

 

Nota dell'autore

Come ho premesso, questa è la storia come io la ricordo. Sui fatti descritti non ho dubbi, ma posso aver sbagliato qualche data e posso avere omesso, involontariamente, di citare persone che ebbero ruoli nello svolgersi di quei fatti: me ne scuso. Ovviamente, ho espresso alcuni giudizi e di questi mi assumo ogni reponsabilità.

 

 





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