REI: il saluto nel karate-do

REI: il saluto nel karate-do:


IL KARATE INIZIA E FINISCE CON IL SALUTO









Il termine “rei” (saluto) deriva da “keirai” (saluto-inchino) ed è un concetto fondamentale per tutte le arti marziali. “Rei” è espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità:


“senza cortesia il valore del karate va perso”
Maestro Funakoshi.









Il rituale del saluto è semplice nella sua forma esteriore, molto complesso nel suo aspetto interiore.
Il saluto è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, della palestra e dell’arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal Maestro.
Il saluto non simboleggia una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona: la ricerca di una migliore adesione alla “via”.
Il praticante, attraverso il saluto, si predispone correttamente all’allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti e dunque un lavoro disciplinato, costante e diligente. Questo è lo spirito della via marziale: l’umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita. La prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione.
La complessità simbolica del saluto implica in senso posturale l’allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri, rispettivamente, della volontà, dell’emotività e dell’intelletto.








La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la via spirituale; si inclina poi orizzontalmente ad indicare la via materiale. Dal punto di vista tecnico il saluto può essere collettivo o individuale, effettuato in piedi (ritsurei) o nella tipica posizione inginocchiata giapponese (seiza).









Prima di entrare in palestra luogo dedicato alla “via” ove l’impegno è sacro, bisogna salutare.

Si rimane in piedi, l’inchino deve essere discreto e sincero e deve essere eseguito ogni qualvolta i karateka si pongano di fronte o eseguano un esercizio di forma (kata). Il saluto in piedi è scandito in tre tempi: per prima cosa si uniscono i talloni in modo che i piedi formino un angolo di circa 90° seguendo l’apertura naturale delle anche; mantenendo il busto e la nuca ben eretti si portano le mani con dita tese e serrate lungo le cosce.

Questa posizione va mantenuta sino a che lo stato d’animo si sia fatto calmo e consapevole. Si piega poi avanti il busto che deve restare rigido. La testa non deve superare questa inclinazione e deve esprimere intenzione: tale atteggiamento significa “io sono disponibile”.

Nell’ultimo tempo si torna alla posizione eretta: “sono presente con il corpo, l’anima e lo spirito”. Il modo corretto per eseguire il saluto da posizione inginocchiata è invece il seguente: bisogna girare leggermente le anche in senso orario e posare a terra il ginocchio sinistro poi quello destro. Le dita dei piedi restano a contatto mentre i talloni, posti verso l’esterno, formano un appoggio che viene usato per sedere.

Schiena e testa erette, mani poggiate sulle cosce, spalle rilassate, ginocchia aperte in modo naturale determinano la stabilità della postura. Il praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo coretto. La posizione inginocchiata è indicata per eseguire la meditazione taciturna (mokuso), che viene effettuata nel più profondo silenzio per consentire il raggiungimento dell’armonia e della concentrazione. Uno degli elementi essenziali di questa cerimonia si esprime nell’immobilità fisica e nel silenzio, che permettono di spogliarsi delle proprie preoccupazioni e di farsi ricettivi agli insegnamenti impartiti dal maestro. Il secondo tempo del saluto consiste nell’inchino: il viso si avvicina al terreno ed alle mani, poste come un triangolo, con le punte delle dita distese in avanti ed i pollici in squadra. Si poggia prima la mano sinistra e poi quella destra: un’eredità delle antiche tecniche marziali che permettevano ai samurai di sguainare agevolmente la spada in caso di necessità anche da una posizione così svantaggiata.
Le espressione verbali che accompagnano il saluto, scandite dal capofila, possono variare secondo le circostanze, ma iniziano sempre con lo
“shomen ni rei”
: l‘inchino al lato anteriore della palestra esprime la riconoscenza dei praticanti per il karate.
Il suo significato riposa sul principio filosofico che l’uomo debba rivolgersi a qualcosa di più grande ed importante di lui prima di dedicarsi alle cose mondane.
Prosegue con il
“sensei ni rei”,
l’inchino al maestro, se presente, oppure con il “senpai ni rei”, l’inchino all’allievo più anziano, che sostituisce il maestro. “Otagai ni rei” è l’inchino dell’uno all’altro: simboleggia l’unità ed esprime il rispetto che si deve agli altri.
“Shihan ni rei” è l’inchino al maestro superiore,
altamente onorato. “Shihan” (o hanshi) richiama infatti il maestro di 9° o 10° dan, esterno dalla gerarchia della scuola, che insegna nel dojo solo in rare circostanze.
Nella parte finale del saluto si torna alla posizione eretta, con intenzione ed energia.
La tradizione vuole che durante il rituale di apertura e di chiusura della lezione il maestro si tenga di fronte al centro del muro nord della palestra (shomen), punto in cui si trova appeso il quadro con l’immagine del fondatore dello stile.
Gli allievi stanno dietro di lui, allineati da est a ovest, ordinati per grado. Dopo il saluto vengono enunciate le cinque regole di palestra (dojo kun), il maestro si alza e gli allievi, rispettando l’ordine di grado, lo imitano: si riacquista così la posizione iniziale.
La filosofia racchiusa nel saluto si radica durante l’esercizio e deve estendersi a tutti gli aspetti quotidiani.

“Rei” offre un’occasione di riflessione ad ogni praticante circa il comportamento da tenere verso gli uomini e verso la vita. Il saluto è l’anima dell’arte marziale: se andasse perso, perso sarebbe anche il valore dell’arte marziale.





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