Metzuke:


tratto dal: Periodico d’informazione a cura dell’Associazione“La Rosa e Il Crisantemo” con la collaborazione deicentri di avviamento al Karate di Reggio Emilia
versione integrale in formato pdf consultabile a fondo pagina
Rivista trimestrale - Anno III - Numero 1 - Gennaio 2001

P R E F A Z I O N E
KARATE: PALESTRA, VITA, VITA DI PALESTRA, PALESTRA DI VITA.
È interessante come un sogno, un’idea, un desiderio si possano concretizzare, ed è altrettantointeressante come una persona possa evolversi attraverso queste idee-sogno.Posso dire che, analizzando il mio percorso di karateka, ciò che è vita quotidiana ora l’ho bramatodall’inizio; essere Maestro di karate, insegnare in una palestra condotta da me, avere allievi bravie capaci tecnicamente, poter essere a contatto con i Maestri più esperti di questa disciplina. Erauna cosa speciale, a volte sognavo ad occhi aperti e ciò che mi emozionava maggiormente era ilprovare una forte sensazione nel vivere realmente ciò che non era reale, ma che ero certo losarebbe diventato. Forse era il desiderio di un ragazzo? O bisogno di emergere? Oppure volersentirsi qualcuno, diverso, stimato o temuto, chissà? So di certo che mi allenavo come un matto,tante ore al giorno, non solo in palestra, ma nei campi intorno a casa mia. Il tatami era la stradasterrata del contadino, 100 passi oizuki avanti e 100 parate e contrattacco indietro, e così pure peri calci, questo era il Kihon; il Gohon kumite che facevo con mio fratello era goho giu kumite, 50passi, non 5; chissà, era un modo di concepire l’allenamento, tante ripetizioni. I kata? Ne facevotanti, ma veramente tanti.Avevo in corpo una sorta di fretta, volevo raggiungere quel sogno che, come sogno solamente,mi stava veramente stretto.Le difficoltà maggiori le incontravo con mia madre, donna adorabile ma con il desiderio di pre-servare l’integrità dei propri figli e io, il più giovane, ero sempre maculato di lividi qua e là. Leiodiava vedermi così, per fortuna anche mio fratello era contagiato dal virus del karate e indossa-va spesso anche lui dei lividi; ci accordavamo per tranquillizzare nostra madre incolpandoci aturno dei lividi, che pur botte erano, ma da buoni fratelli.Il karate in Compagnoni (quartiere dove io abitavo) lo praticavamo in tanti; tra questi tanti,Munari e Lazzarini, due veramente cocciuti: della lista, dagli anni dal 72 al 75 sono gli unicirimasti. Una lista di cognomi che dalla “A” alla “Z”, dal karate hanno attinto la giusta scintilla percrescere, evolvendosi poi nei loro percorsi di vita.

LEZIONE DI RISPETTO di Luca Lestingi
Il Buddha non si interessò soltanto alla divulgazione della sua filosofia, ma si dedicò ancheai consigli sulla vita pratica di ogni giorno. Egli predicò la giusta “Via di Mezzo”, quelladella ragione, quella che ci porta al controllo degli istinti e delle emozioni, quella che ci dicedi usare il “buon senso” in ogni occasione.Egli arrivò persino ad occuparsi di questioni economiche e politiche, prescrivendo alcuneregole di buon governo. Queste regole furono adottate, nel III secolo a.C., dall’imperatoredell’India Asoka. Tra le cose rimaste di questa epoca fino ai giorni nostri vi è il famosoeditto, fatto scolpire sulla roccia, dove l’imperatore Asoka afferma:“Non si dovrebbe onorare solo la propria religione e condannare la religione degli altri, masi dovrebbero onorare le religioni degli altri per ciò che vi è di buono in esse. Così facendosi aiuta la propria religione a crescere e si rende un servizio anche alle religioni degli altri.Comportandosi altrimenti, si scava la tomba alla propria religione e si danneggiano le altre.Chiunque onora la propria religione e condanna le altre, lo fa di certo per devozione allasua religione e pensa: ‘Voglio rendere gloria alla mia religione’. Ma al contrario, così facen-do, danneggia la sua religione ancor più gravemente. Pertanto la concordia è cosa buona:siate tutti disponibili ad ascoltare tutto e siate aperti alle dottrine professate dagli altri”.

I tuoi figli non sono figli tuoi, sono i figli e le figlie della vita stessa.Tu li metti al mondo, ma non li crei. Sono vicino a te, ma non sono cosa tua.Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee.Tu puoi dare memoria al loro corpo, ma non alla loro anima,perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire dove a te non è dato entrare neppure con il sogno. Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere che essi assomiglino a te,perché la loro vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.
Gibran Kahlil Gibran
(1883-1931)
da: “Il Profeta”

Non è facile accettare queste parole per un genitore, pur belle, piene di significato esse siano, donate alpubblico da Kahlil Gibran con uno spirito universale.Sta di fatto che i figli sono nostri e nostri vogliamo che siano e rimangano, ed è molto improbabile che, senon illuminati o confortati a pieno verso il cammino di Dio, si viva in armonia con queste parole.La nostra cultura occidentale ha tarpato le ali all’animo altruistico, essa è centripeta, ci ha educato e tuttora cieduca ad essere molto egoisti in modo più o meno palese. Quando doniamo ai poveri ci liberiamo sempre oquasi di cose che non utilizziamo più, vecchie, demodé o che ci riempiono spazi che vogliamo liberare,anche il Natale in collaborazione con i poveri ci aiuta a liberarci del panettone, proprio di quello che a noi nonpiace. Dal mio punto di vista sono i poveri che ci aiutano a sublimare la nostra egoistica “carità”.I figli sono il mezzo che utilizziamo per crescere e maturare nella nostra funzione di genitori per essere piùcompleti come uomini, ma la visione che ne abbiamo è diametralmente opposta.Amiamo i nostri figli, incatenati da un amore viscerale, implosivi che facciamo esplodere all’esterno operan-do per loro scelte su scelte, possibilizzando i loro desideri oltremodo e come sicuramente non avremmo maipensato di fare prima di essere genitori.Questo comportamento non è illogico, è legato a ciò che noi come genitori vorremmo per i nostri figli, il lorobene, il loro benessere, la loro cultura. Purtroppo confondiamo la felicità con il bene, la voglia di vivere conil benessere, il sapere con la cultura. E d’altra parte agire in altro modo è estremamente difficile: non si puòdimenticare che il figlio è la cosa più importante del mondo. Vogliamo dare loro ciò che noi non abbiamopotuto avere, senza considerare che di ciò che non abbiamo avuto non ne abbiamo una esperienza intima,diretta, e non possiamo sapere che risultati avrà su di loro. Noi sappiamo di ciò che abbiamo vissuto ed è ciòche possiamo consigliare, tutto il resto dovremmo demandarlo ad altri, ed è proprio questo il nostro compi-to, cercare gli “altri”, giusti, non solo altri, nuovi Maestri con esperienza di ciò che loro stessi hanno speri-mentato o fatto proprio con una costante pratica.Il resto si chiama vita: ognuno l’ha avuta in dono con l’opzione di viverla come crede. Sono convinto di ciòdi cui Gibran parla: «…noi abbiamo messo al mondo i nostri figli e possiamo essere i loro archi…».
Loris Guidetti


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